CORONAVIRUS: Il virus del nuovo millennio

Gli anni venti del duemila verranno ricordati per un’epidemia

Dalle vacanze di carnevale del 2020, noi studenti abbiamo vissuto un vero e proprio esperimento sociale: il COVID-19, o SARS-COVID-2, un virus che sta ancora cambiando le nostre vite. Questo virus, mortale per le persone deboli della nostra società, ci ha messi in una condizione migliore, perché effettivamente stiamo riuscendo a essere più solidali fra di noi. Tuttavia, si sono visti aspetti anche molto vili e ignoranti, che ci fanno capire i lati dell’umanità. Chiediamo ora ad un esperto di studiare la situazione:

In questi giorni, come ne risente la gente di questa epidemia?

“Guardando l’aspetto sociale, possiamo vedere diversi punti di vista:

Inizialmente valutiamo la chiusura in casa di chi non può andare al lavoro o a scuola; stiamo, paradossalmente, usando l’ambiente domestico di più che in tutta la storia dell’umanità. L’ambiente chiuso ci reca tensione e nervosismo, quasi come se fossimo diventati claustrofobici: il brutto di questa situazione è oltretutto la differenza sociale che si è rapidamente creata: la grandezza della casa, infatti, si sta rivelando un problema per alcuni. L’altra faccia della medaglia è la solitudine, dato che non tutti vivono con qualcuno e fino quando non potevano uscire, si sentivano soli e annoiati e tendevano a trasgredire le regole; in seguito però con le diverse aperture, questo problema si è un po’ risolto. Infatti, l’uomo è un animale sociale, non riesce a stare solo e cerca la compagnia negli altri. Il rimpiazzo sociale digitale, tuttavia non è abbastanza per molti, perché le attività a distanza sono limitate e a volte noiose. L’accessibilità alle risorse digitali, poi, non è così facile a certe fasce di età.

Il tempo a disposizione è effettivamente molto, ma in realtà ci scivola tra le dita e non riusciamo comunque a sfruttarlo appieno: siamo infatti disorientati dal numero di ore libere e cerchiamo di utilizzarle pulendo la casa e inventandosi passatempi. Personalmente consiglio di farsi un programma della giornata, differenziando le attività: facendo per esempio un’uscita (spesa) o un po’ di esercizio fisico. Questo tipo di organizzazione ci aiuta a riprendere un po’ la volontà di fare e di porsi degli obiettivi. Un metodo che si può usare per gestire il tempo è quello del “pomodoro”, che consiste nel lavorare per venticinque minuti, senza distrazioni, e poi, alternativamente, fare una piccola pausa di cinque minuti: si può applicare molto semplicemente al lavoro e allo studio.

La quarantena pone diverse variabili: il tipo di casa stessa, infatti, potrebbe anche far reagire le persone in modi diversi: il giardino può aiutare a sfogare la mente e a rilassarsi. Poi chi ha più familiari in casa si trova svantaggiato, dato che magari certi spazi sono limitati o che fra di loro possano non andare d’accordo.

Chi lavora, vive la cosa da un punto di vista diverso, dato che entra in un mondo più simile a quello di sempre. Tuttavia, l’ambiente di lavoro molte volte è chiuso e non si riesce a sentirsi del tutto normali con le mascherine, che socialmente tolgono la buona visibilità del viso e delle espressioni facciali, causando disagi sociali.”

Perché questa esperienza si può in qualche modo definire come “esperimento sociale” per le scuole?

“Inizialmente questa esperienza si sta dimostrando il primo vero esempio di teledidattica, ovvero della didattica a distanza. Questa didattica e le risorse informatiche disponibili infatti non sono mai state utilizzate così frequentemente: molti si sono trovati impreparati. Zoom, Skype, Google Hangouts e Meet, e tante altre piattaforme per gli incontri a distanza, ci hanno fatto vedere una didattica e un’alternativa sociale, che però non riesce ad essere identica ai normali incontri fra amici. I problemi causati dalle tecnologie, infatti, sono ora molto più importanti rispetto al passato e chi ha pochi mezzi sta avendo molte difficoltà a seguire la didattica. Questi problemi sono arginati parzialmente dal prestito di computer dalle scuole, ma chi ha problemi di connessione a Internet è svantaggiato: il sovraccarico della rete unito alla mancanza di manutenzione stanno infatti causando molti problemi a tutti, come lentezza nella connessione o mancanza del segnale. Di conseguenza, chi non può accedere con completezza alla rete, ne subisce un’esclusione dal gruppo e dalla didattica. Questi problemi di rete implicano che questo tipo di rapporti sociali è insufficiente e porterebbe quindi alla tentazione di trasgredire le regole stabilite per contenere la vera minaccia.

Un altro problema resta il cosiddetto “hating”, ossia l’usare internet per recare danni agli altri, tramite disturbi sonori, visivi e testuali, a volte anche offensivi o irosi. Molte le persone sfruttano queste piattaforme per creare disagi e disturbi, mantenendo a loro volta l’anonimato. In piattaforme come Zoom, infatti, si nota che l’anonimato dell’utente può fare gola a diversi hater, che possono mettere nomi fittizi per poi disturbare le lezioni, riunioni o incontri con gli amici. Le piattaforme hanno applicato delle norme di sicurezza per limitare questi disturbi, tuttavia dobbiamo essere noi ad attivarle e a utilizzarle correttamente per evitare comportamenti di cattivo gusto.

Un’ultima considerazione sulla didattica a distanza è come viene presa: infatti essa non sembra ma è effettivamente più faticosa della didattica normale, dato che non c’è un momento di pausa nelle spiegazioni delle lezioni, che quindi risultano più difficili e faticose. Le lezioni infatti portano a stare molte ore davanti al computer e al cellulare (5 al giorno di media), che a causa delle luci blu nello schermo, possono danneggiare la vista e il ritmo sonno-veglia. Una soluzione sarebbe l’utilizzo di monitor e dei piccoli programmi (per esempio f.luxopen in new window) che filtrano queste luci dannose e che quindi ci aiutano nel nostro lavoro al computer.”

Quindi, riassumendo, questa didattica a distanza ci potrà insegnare qualcosa?

“Innanzitutto la pazienza, dato che al contrario del mondo frenetico in cui stavamo vivendo, possiamo vivere molte situazioni con più calma rispetto alla normale “corsa” con cui ci trovavamo nelle situazioni “normali”. Un’altra virtù che dobbiamo imparare da questa quarantena è di sicuro la elasticità, dato che non sempre in questo momento si può cercare di cambiare le cose a nostro piacere, ma viceversa dobbiamo essere anche noi a adattarci. Anche l’onestà e la fiducia reciproca, che comunque sono sempre da rispettare, ma che in questo periodo si stanno dimostrando fondamentali, dato che le nuove tecnologie stanno permettendo una falsificazione sempre maggiore di fatti, opinioni e emozioni. Tuttavia bisognerà anche imparare a organizzarsi, dato che questo periodo ci ha dimostrato che senza organizzazione e impegno non si riesce a andare avanti senza bloccarsi. Infine assolutamente la costanza, dato che senza di questa, il nostro periodo di quarantena sarebbe di sicuro peggiore e meno utile per il bagaglio delle nostre conoscenze.

Una importante notizia tuttavia è che non è la prima volta! Lo sottolineo e lo ripeto: NON è la prima volta che nel mondo succede un episodio del genere! Nel Novecento c’è stata la febbre spagnola e prima ci sono state le grandi epidemie di peste. Tuttavia questa epidemia ci fa riflettere su alcune cose: il mondo è comunque enorme: è impossibile che la malattia arrivi istantaneamente e tuttavia è impossibile essere completamente al sicuro. Dobbiamo infatti imparare a conviverci. Un altro fattore molto importante è che la tecnologia non è tutto: in questi giorni ci siamo trovati a poter usare molte tecnologie che chi nel passato è stato in quarantena prima di noi, non aveva: essi si divertivano con i vecchi giochi, le carte e non avevano bisogno di una connessione Internet, quindi dobbiamo considerarci più fortunati. Gli ultimi fatti li vediamo con un testo tratto dal romanzo “La Peste”:

Camus, 1947, p. 88

[…] il vecchio portiere rispose: “Se fosse stato un terremoto! Si contano i vivi, i morti e il gioco è fatto! Ma questa porcheria della peste! Anche quelli che non ce l’hanno, se la portano nel cuore.”

Questo testo fa molto riflettere, a causa del suo confronto dell’epidemia con la Peste, che ha flagellato l’umanità per molte volte nel corso della storia. Il tratto parla di un portiere, che sentendo parlare della peste, commenta con questa macabra frase: con un terremoto sarebbe di sicuro uno shock, ma finirebbe quasi subito, mentre l’epidemia di peste (o di Covid-19), ce la porteremo sempre con noi dato che non riusciremo mai a dimenticarci questi “maledetti” giorni di clausura. Concludo facendo un confronto di questa quarantena con quello che succede nel romanzo The Shining, in cui un padre passa del tempo in un albergo come custodi invernali, assieme alla famiglia, e a causa di una misteriosa forza maligna, impazzisce e tenta di uccidere i parenti.

King, 1977, p. 19

[…] “Sospetto che quanto sia accaduto sia stato il risultato di un eccesso di whisky, di pessima qualità, del quale Grady si era procurato, a mia insaputa, in buona scorta, e di una singolare condizione che i nostri vecchi chiamano mal della capanna. Conosce questa espressione? […] È un’espressione gergale; indica la reazione claustrofobica che può verificarsi qualora un gruppo di persone sia costretto a convivere per lunghi periodi di tempo. La sensazione di claustrofobia si manifesta sotto forma di avversione per le persone con le quali si è costretti a convivere. Nei casi estremi può dare origine ad allucinazioni e crisi di violenza. Sono stati commessi assassinii per incidenti irrisori, come una pietanza bruciata o una discussione su a chi toccasse lavare i piatti.” […] “Ho paura che in quel caso abbia davvero commesso un errore. Ha fatto loro del male?” “Le ha ammazzate, signor Torrence, e poi si è ucciso.”

In questo modo parecchio inquietante possiamo notare che il “male della capanna” è, in qualche modo, simile alla nostra condizione di chiusura, dato che il protagonista fa la guardia a un albergo in montagna, in mezzo al nulla e senza soccorsi. Come nel libro, in questa ci sono e ci saranno ancora “mali della capanna”, che hanno portato a suicidi e violenze in molte case d’Italia.”

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Contributors: tiziodcaio